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In questo volume si affronta un argomento che ha interessato gli storici e attirato in pari tempo l’attenzione dell’opinione pubblica. Il problema delle finanze pontificie si pose in modo drammatico sin dalla prima metà dell’Ottocento e divenne ancor più grave dopo che lo Stato della Chiesa perse, nel 1859-60, le sue regioni più ricche.
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Al problema della sopravvivenza dello stato si aggiunse allora quello ben più grave di trovare risorse per far fronte al governo della chiesa universale. A parte taluni espedienti monetari del cardinal Antonelli, si ricorse per lo più a prestiti internazionali. Banchieri, finanzieri capitalisti “cattolici” talora spregiudicati come il belga Langrand-Dumonceau – finito in bancarotta nel 1870 e sottrattosi con una fuga ad una dura condanna – avanzarono iniziative e proposte per una istituzione o organizzazione finanziaria cattolica a servizio del papa. Ma il soccorso alla Santa Sede non giunse dai grandi capitalisti, quanto piuttosto dai fedeli di tutto il mondo che diedero vita a una colletta, prima spontanea, poi via via sempre più organizzata, che fu l’Obolo di San Pietro. Gli umili credenti non pensavano a far prestiti; preferivano donare al pontefice, perché egli potesse rispondere liberamente alla domanda religiosa che saliva dal basso e conservare la Chiesa in decorosa povertà. Caduta Roma nel 1870 le risorse dell’Obolo cominciarono ad eccedere i bisogni e le spese della Curia romana. Nacque allora il problema di come investire il sovrappiù. E fu così che la Chiesa si ritrovò impigliata in quel mondo capitalista che in linea di principio non aveva mai potuto accettare, e in un giro di banche, banchieri e affaristi pronti a strumentalizzare anche i più alti valori religiosi.